Soltanto i libri che «trattano di cucina sono, da un punto di vista morale, al di sopra di ogni sospetto... Lo scopo di un libro di cucina è unico e inequivocabile. Non è concepibile che abbia scopo diverso da quello di accrescere la felicitàrndel genere umano». Così scriveva Joseph Conrad. Ma la cucina, come parte integrante della vita e della cultura di ogni individuo e di ogni gruppo sociale, si è spesso ricavata un proprio spazio anche all’interno della grande letteratura: chi non ricorda il timballo di maccheroni del Gattopardo, o le quaglie in crosta del Pranzo di Babette? Guidata dalla curiosità e dalla frequentazione quotidiana con i grandi classici della letteratura, Oretta Bongarzoni ha costruito un elenco di ricette godibile e pieno di notazioni, che prende le mosse da una convinzione profonda: «A seconda dei casi e degli autori, la presenza del cibo nei libri è una forma del tempo e dello spazio, un piacere sostitutivo o omplementarerndel piacere amoroso, un ricordo, un’allusione, un gesto dimostrativo; una delle tante funzioni del ritmo narrativo.rnOppure: un dettaglio di vita quotidiana come tanti altri, un codice sociale, un segno (bello o brutto) del carattere dei personaggi, una dedizione, un’impazienza, una libertà, una banalità».
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