«Almeno fin dagli anni settanta del Novecento — per esempio nel lavoro per molti versi inaugurale di Sarah Kofman, Camera obscura. De l' idéologie (1973) — e in misura crescente a partire dalla rivoluzione digitale degli anni novanta e dal conseguente iconic turn, la cultura occidentale si è trovata investita da un radicale ridisegnarsi della questione della visibilità nella produzione dei saperi, incluso quello filosofico. Da un lato, ciò ha sollecitato e ancor più invita a sollecitare una nuova attenzione per i riferimenti a strumenti tecnici legati al vedere ai quali la filosofia ha fatto ricorso durante la propria storia, che fossero apparati o media visuali (dagli specchi e dai veli ai proiettori e agli schermi), dispositivi di visione (quali appunto la camera oscura o il panopticon) e le relative esperienze (esemplarmente, quella descritta nel mito della caverna). In ogni caso, gli apporti che il visuale ha storicamente offerto alla costruzione del sapere filosofico si configurano da tempo come un peculiare oggetto d'indagine. Dall'altro lato, ciò non può rimanere senza conseguenze sull'autorappresentazione e sull'autocomprensione della filosofia stessa, spingendo a chiedersi quanto quei ricorsi al visuale abbiano effettivamente inciso sull'identità essenzialmente verbale che essa si è storicamente attribuita, o non siano stati piuttosto integrati in questa identità ma al contempo rimossi nella loro autonomia da essa. [...]» (Dalla premessa di Mauro Carbpne e Raoul Kirchmayr)
Confronta prezzi libri ed eBook su e-commercesoftware.it ed acquista al prezzo più basso: Aut aut. Vol. 396: La filosofia come sapere visuale
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